La parola ad Achille Orsenigo, ospite il 29 novembre con la giuria della terza edizione IC
"Per generare qualcosa di nuovo, per provare a realizzare dei sogni... penso sia necessario il coraggio di misurarsi con l’ignoto".
- 27 Novembre 2016
Presidente dello Studio Aps, Achille Orsenigo è specializzato da oltre 30 anni in consulenza e formazione per organizzazioni lavorative private e pubbliche, nel profit e nel non profit. Costruisce e realizza progetti per agevolare cambiamenti mirati a gestire difficoltà e conflitti, per dare vita a forme di lavoro più soddisfacenti ed evolute. I suoi interventi sono orientati a sviluppare una maggiore e più articolata comprensione delle situazioni di lavoro e a valorizzare le capacità delle persone e dei gruppi, favorire la crescita della fiducia tra colleghi, quindi maggiori integrazioni tra le parti dell’organizzazione, nei team, nei gruppi dirigenti e tra soci d’imprese. Il 29 novembre sarà l’ospite speciale della Pitching Session di IC con un intervento a tema “imprenditorialità e pensiero: la cognizione e il sentimento del rischio”. Che ruolo ha il rischio per un aspirante imprenditore culturale?
Lei lavora da oltre 30 anni per le organizzazioni lavorative, promuovendo la valorizzazione della capacità di gruppi e persone. Che consiglio vorrebbe dare ai team che si preparano alla prima “presentazione” davanti a un pubblico di giurati perché sappiano valorizzarsi al meglio?
Penso che sia importante saper collocare il progetto nel mondo in cui si vive e saper proporre gli elementi focali dell’impresa trasmettendo il senso dell’idea da cui è nata e il percorso che l’ha portata a compimento. A questo proposito, è necessario riuscire a rappresentare anche sé stessi e non solo il prodotto. Può essere utile conoscere i giurati per costruire una relazione significativa: il processo di valutazione è anche relazionale, non si limita al solo progetto. Le persone sono spesso convinte di scegliere un oggetto specifico, ma senza saperlo stanno scegliendo altro, ad esempio: la persona più affidabile, l’immagine più accattivante, qualcosa che mi ricorda qualcosa d’altro… Anche le scelte di una giuria risentono di queste dinamiche.
Le sue consulenze sono mirate ad agevolare e sostenere i processi di cambiamento di organizzazioni e persone. Cambiamento e rischio vanno spesso insieme: che ruolo può avere la cognizione del rischio in un’impresa culturale?
Dipende da cosa s’intende per “cognizione”.
La consapevolezza del rischio da un lato può portare ad agire responsabilmente, anche riconoscendo che in una parte significativa non possiamo dominarlo, ma possiamo attrezzarci per affrontarlo. Dall’altro può portare a rinunciare all’impresa, spaventati dall’ignoto.
Per generare qualcosa di nuovo, per provare a realizzare dei sogni, anche nel campo culturale penso sia necessario il coraggio di misurarsi con l’ignoto, una quota d’azzardo. Una cognizione illusoria del rischio della situazione può portare ad affrontare itinerari assai pericolosi e a realizzare imprese importanti (ad esempio la scoperta di Colombo del continente americano), acquistare aziende, fare sport estremi, fare figli in situazioni di grave incertezza.
Come formatore e consulente ha avuto la possibilità di conoscere da vicino professionisti appartenenti a organizzazioni lavorative molto eterogenee del pubblico, del profit e del no profit, analizzandone gli aspetti più critici e i più virtuosi. Quali sono i migliori insegnamenti che un aspirante imprenditore culturale potrebbe ricevere da questi diversi mondi?
Per prima cosa non pensare che siano mondi omogenei: ci sono grandi innovatori e grandi conservatori in ciascuno di questi settori. Che lo spirito imprenditoriale sia solo nel privato è una grande semplificazione e falsificazione della realtà. Quindi è importante distinguere, saper discernere all’interno di questi mondi.
Nel pubblico, dove la leva economica è assai debole nella gestione delle persone e dei gruppi, ho incontrato diversi responsabili e operatori capaci di motivare e di motivarsi utilizzando strumenti come il coinvolgimento, la focalizzazione sul senso, le dimensioni valoriali, la spinta alla realizzazione di progetti innovativi, la sfida all’istituito. Le imprese private avrebbero molto da imparare da questi soggetti. È di fondamentale importanza per un aspirante imprenditore lavorare sul coinvolgimento dei soggetti non focalizzandosi sulle dimensioni economiche.
Una terza riflessione riguarda la debolezza inscritta nel sistema pubblico che non ha una relazione diretta e forte coi clienti sul versante economico. Nel privato il mercato con le sue durezze ha il vantaggio di “costringere” a rispondere celermente ai segnali che arrivano dai clienti. Chi è finanziato da soggetti diversi dai clienti per un verso è protetto e per un altro rischia di non essere in contatto col mondo esterno. Quindi suggerirei di prestare attenzione al rischio elevato inscritto in investimenti sulla cultura sganciati dal contatto coi cittadini.
Da ultimo direi che ho verificato (sia nel pubblico che nel privato) come le dimensioni economiche nelle scelte di investimenti o di spesa non siano che parzialmente guidate da dimensioni meramente economiche. Dimensioni spesso scarsamente consapevoli o non esplicitabili guidano/influenzano decisioni d’importanza radicale, quindi per un aspirante imprenditore nel settore della cultura è molto importante tener presenti anche questi aspetti: noi umani seguiamo razionalità diverse e non siamo solo razionali.